A Bookcity Milano la personale di Isabella Angelantoni Geiger, dal titolo Vedere le città invisibili, ci racconta fino al 16 novembre, il modo in cui l’artista ha fatto propria la lezione “urbana” di Calvino e di Klee. L’abbiamo intervistare per capire meglio la sintesi del suo percorso artistico, umano e letterario.
Se l’idea che l’arte, come afferma Klee, <<non deve rappresentare il visibile, ma rendere visibile l’invisibile>>, è diventata la linea guida del suo percorso artistico, in che modo la sua scelta è ricaduta sull’opera di Italo Calvino? Cosa ha più amato del suo romanzo?
Non ho scelto l’opera di Calvino, l’incontro è avvenuto negli anni di studio. Nel tempo Calvino e Klee si sono intrecciati, tutti e due affrontano la città come entità filiformi, riducono il visibile a linee geometriche dalle quali però scaturiscono “immagini poetiche”. Ciò che amo di più ne Le Città Invisibili è la capacità di suscitare sensazioni legate al vivere in città – sensazioni urbane – che per me si traduce in gioia. Amo vivere in città e amo la mia Milano, fonte di ispirazione della mostra.
Delle 11 categorie di città descritte e narrate da Calvino, dalla “città della memoria” alle “città nascoste”, quali possiamo ammirare nelle sue trasposizioni creative ospitate all’interno della mostra milanese
L’esposizione si sofferma su quasi tutte le categorie che affronta Calvino, soprattutto “Le città e la memoria” e “Le città e il desiderio”. Ma quella che più mi ha attratto è “Le città sottili”, le sue sono descrizioni limpide, luminose e lineari. Io le vivo come città felici, anche se Calvino ci dice che le città non vanno classificate in base a questo principio. Ho evitato “Le città e i morti”. È un tema troppo doloroso e molto profondo: non riesco ad affrontarlo.
Come lei stessa ha affermato, il suo modo di operare usando molto le mani le consente di creare delle gabbie. Sono le nostre gabbia fisiche e mentali. In che caso, oggi, vanno oltrepassate, e in che caso conviene chiudercisi dentro?
Nella vita affrontiamo esperienze diverse che ci portano a chiuderci o ad aprirci. Il termine gabbia, in generale, ha in se’ un’accezione negativa, ma in realtà io penso alla gabbia anche come qualcosa che protegge e custodisce un centro, il cuore. Non bisognerebbe cedere alla seduzione di chiudersi dentro la gabbia, o peggio farsi chiudere; bisogna avere la volontà e l’entusiasmo per salvaguardare qualcosa di noi dal mondo esterno, per poi raccontarlo.
@ARTempi_